sabato 11 dicembre 2010

Due suicidi "diversi".

I due suicidi, avvenuti nello scorso novembre, hanno colpito l'attenzione dei media e di gran parte dell'opinione pubblica; suicidi dovuti a motivazioni diverse, ma che hanno portato alla stessa tragica conclusione di morte.
Chi erano i due autori di questo gesto estremo?
Il primo, in ordine cronologico, è stato un sacerdote, Don Sergio Recanati, nato 51 anni fa a Masano che svolgeva la funzione di cooperatore nel santuario di Caravaggio  e che domenica 28 novembre si è tolto la vita buttandosi sotto un treno, nelle campagne tra Caravaggio e Pagazzano, in provincia di Bergamo.
Il secondo è stato Mario Monicelli, nato a Viareggio 91 anni fa, grande maestro del cinema italiano dal dopoguerra ad oggi, nonchè figura di primo piano nel panorama culturale italiano, che la sera di  lunedì 29 si è buttato dal quinto piano dell'ospedale San Giovanni a Roma, dove era ricoverato.
 

 Premesso che , a mio modo di vedere, il suicidio non è mai una scelta completamente razionale e lucida in quanto qualcosa nella nostra mente fa si che venga superato il limite naturale costituito dall'istinto di conservazione, tuttavia tutti cerchiamo di trovare delle spiegazioni che possano far comprendere il ricorso ad un simile gesto. Per Monicelli si è parlato del suo rifiuto a vivere l'ultima parte della sua vita in modo doloroso e opprimente, dato che era affetto da un tumore alla prostata, allo stato terminale. Si è anche aperto, a tal proposito, un dibattito giornalistico e non solo, tendente a strumentalizzare l'estremo atto del grande regista, vuoi dalla parte di chi lo ha considerato come una  sorta di "diritto d'eutanasia", vuoi dalla parte di chi, invece, sostiene che la vita è un bene sociale e non può essere appannaggio del singolo.
Per quanto riguarda Don Recanati, tutto viene fatto risalire allo scorso giugno, quando il sacerdote fu ripreso da un video, girato da "Le iene", in cui fu sorpreso a molestare un ragazzo, con la scusa del conforto religioso, in seguito al quale fu poi sospeso dal suo incarico e mandato in una comunità, per curarsi.
Chiunque abbia seguito le due notizie sui media o su internet, penso abbia notato ciò che ho notato io e cioè una grandissima sproporzione nei commenti e nel giudizio riguardo i due suicidi.
Sono d'accordo che la popolarità del grande regista ha svolto un ruolo importante in questo, tuttavia  se da  tutte le "posizioni" si è concesso un certo rispetto al gesto di Monicelli,  per l'altro è sembrato quasi che  avesse avuto la fine che  meritava.
Ed è proprio qui che non sono d'accordo, poichè seppure è ovvio e doveroso deprecare, con tutte le forze, le molestie sessuali, soprattutto aggravate dal fatto che a compierle  sia un sacerdote nel sacro"Ufficio di confessore", ciò nonostante non credo che esse meritino una pena come la morte, viceversa non so cosa possano meritare i responsabili di violenze continuate, famigliari e non o i responsabili di omicidi plurimi, genocidi e quant'altro di terribile accade ogni giorno, in ogni parte del mondo;  il fatto avvenuto poteva e doveva risolversi in modo differente, magari davanti alle forze dell'ordine o alla magistratura, anzichè davanti alle telecamere di una trasmissione televisiva che ha dato vita ad un pubblico ludibrio prima e ad un giudizio sommario dopo.
In controtendenza, c'è anche da evidenziare che le istituzioni ecclesiastiche hanno concesso  di celebrare il funerale del sacerdote suicida  nel prestigioso santuario di Caravaggio, dove lo stesso svolgeva la funzione di cooperatore e laddove si erano verificati  i fatti di cui era accusato. Una scelta discutibile se pensiamo che a  Piergiorgio Welby, colpevole secondo la Chiesa, di non voler continuare a vivere "artificialmente", non era stato concesso lo stesso privilegio.
Concludendo, se c'è da esprimere rispetto per un gesto come il suicidio, allora va espresso per  tutti  allo stesso modo poichè, secondo me, la morte accomuna e rende simili gli interpreti nel compimento di questo tragico atto.
Suonano appropriate le parole che lo stesso Monicelli proferì  in occasione del suicidio del padre Tomaso, avvenuto nel 1946:
"Ho capito il suo gesto. Era stato tagliato fuori ingiustamente dal suo lavoro, anche a guerra finita e sentiva di non avere più niente da fare qua. La vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena."

wiska...chi lotta vive!

Nessun commento:

Posta un commento

Chiunque può lasciare dei commenti che saranno molto graditi. Se non siete dei blogger, selezionate commenta come "Anonimo" e poi mettete il vostro nome al termine del commento, grazie.